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Sonno nei pesci: come e perché alcune specie “sognano” in posizione verticale

Che cos’è il sonno nei pesci?

Il sonno, definito come uno stato di ridotta attività motoria accompagnato da un livello elevato di soglia di risveglio, non è esclusiva dei mammiferi. Nei pesci, la “quiete” si manifesta con flessioni lente delle pinne, frequenza respiratoria ridotta e un evidente calo di reattività agli stimoli esterni. Studi comportamentali su zebrafish e trote hanno dimostrato rebound di sonno dopo privazione e soglie sensoriali più alte, due indizi affidabili di un vero stato di riposo simil-mammifero.

Fasi del sonno e “sogni” subacquei

Grazie alla microscopia in vivo ad alta risoluzione, i ricercatori hanno individuato in larve di zebrafish due stati di quiete distinti: uno privo di rapidi movimenti oculari (qNREM) e uno con rapidi movimenti oculari (qREM) paragonabile alla fase REM umana. Entrambi presentano onde cerebrali orchestrate, ma la qREM mostra raffiche neuronali più sincronizzate, segnale di una possibile attività onirica o consolidamento mnemonico. Queste osservazioni retro-datano l’origine del sonno bifasico a centinaia di milioni di anni fa.

Perché alcune specie dormono in verticale?

In natura esistono pesci che, al momento di dormire, abbandonano la classica postura orizzontale e assumono una posizione verticale, testa in alto o in basso. Le ragioni sono molteplici: riduzione della silhouette per eludere i predatori notturni, sfruttamento di micro-correnti ascensionali per restare a mezz’acqua senza sforzo e migliore ventilazione delle branchie. Il pesce pappagallo, per esempio, può addirittura avvolgersi in un bozzolo di muco per schermare gli odori e, una volta al riparo, si dispone quasi a “candela”. I clown loach invece si impalano tra le rocce con il muso verso il fondo, mantenendo un profilo sottile e difficile da individuare.

I vantaggi evolutivi del sonno verticale

Dal punto di vista energetico, il sonno verticale permette di sfruttare la spinta di galleggiamento in modo efficiente: le sacche d’aria natatorie restano in equilibrio senza richiedere movimenti correttivi costanti. Inoltre la colonna vertebrale non sopporta torsioni laterali, riducendo il rischio di micro-traumi. L’orientamento verticale facilita anche la sorveglianza dell’ambiente: con un semplice rollio dell’occhio, il pesce può aprire leggermente la fessura palpebrale per captare variazioni di luce o ombre sospette prima di impegnarsi in una fuga rapida.

Implicazioni per la ricerca sul sonno umano

Scoprire che alcune specie di pesci non dipendono dall’orexina per restare sveglie ha rivoluzionato il paradigma neurochimico del sonno: questo neuropeptide in mammiferi governa la veglia ed è coinvolto nella narcolessia. Se i clown loach mostrano ritmi circadiani regolari in assenza di orexina, significa che esistono circuiti alternativi di “switch” sonno-veglia. Studiare tali circuiti in un vertebrato semplice, accessibile a tecniche di genetica ottica, potrebbe aprire la strada a terapie mirate per disturbi del sonno nell’uomo.

Il sonno nei pesci, lungi dall’essere una curiosità marginale, costituisce un capitolo fondamentale dell’evoluzione dei comportamenti. Le posture verticali testimoniano l’ingegnosità delle strategie antipredatorie, mentre le fasi REM-like rivelano una continuità ancestrale dei meccanismi cerebrali del sogno. Approfondire questi modelli non solo amplia la nostra comprensione della vita sottomarina, ma offre nuove prospettive per la medicina del sonno e la neurobiologia comparata.